“Le gratitudini” di Delphine De Vigan, Editore Einaudi.
Un romanzo totalmente incentrato sull’importanza delle parole.
Quando le parole mancano, manca la capacità di interagire e, spesso, di reagire.
La storia di Michka, Marie e Jérome. Tre personaggi che non si troveranno mai nella stessa stanza tutti insieme. Marie e Jerome, due vite che conosciamo attraverso la loro interazione con Michka.
Le vedo come se fossi lì, quelle plaghe vuote, aride, quei sentieri devastati, che compaiono nel bel mezzo delle frasi quando tenta di parlare. Paesaggi desolati, privi di luce, di una piattezza inquietante, e niente più niente a cui aggrapparsi. Panorami da fine del mondo. Comincia una frase e già le mancano le parole, precipita, come se cadesse in un buco. Non ci sono più né paletti né punti di riferimento, perché nessuna strada potrebbe attraversare quelle terre infertili. Le parole sono scomparse, e nessuna immagine permette di farne a meno. La sua voce, soffocata dalla morsa della sconfitta, si disgrega. Ostacoli ignoti le sbarrano il passo. Masse scure, anch’esse innominabili. Non è più possibile condividere niente. E ogni suo tentativo cade in un pozzo senza fondo dal quale nulla, mai, sarà recuperato. Cerca nel mio sguardo un indizio, una chiave, una via traversa. Ma il mio sguardo non offre alcun aiuto, alcuna deviazione. La strada è chiusa.
Il filo del dialogo si spezza.
A vincere è il silenzio. E niente più la trattiene.
I ricordi. L’importanza dell’infanzia e della nostra storia di bambini e bambine nella formazione dell’io adulto. I conti con un passato che condiziona anche se pensiamo di essere andati oltre. Il senso di gratitudine che ha bisogno di uno sfogo, di un senso vero nella realtà del presente.
Un libro che entra di diritto nello scaffale del buon romanzo.
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